Bruno Samorì
Il GIOCO DEI FRAMMENTI
di Gigliola Foschi
Nel realizzare molte sue opere Bruno Samorì sembra aver assunto un atteggiamento conoscitivo e riflessivo simile a quello del filosofo Georges Didi-Huberman quando, nell’ammirare alcuni affreschi dipinti dal Beato Angelico, anziché concentrare la sua attenzione sulle scene centrali, si mise a osservare ciò che in genere viene solo visto distrattamente, ovvero il cosiddetto “registro decorativo” che sta alla base dei dipinti. Come mai, si chiede il filosofo, anche i più preparati storici dell’arte non hanno prestato «la minima attenzione allo stupefacente fuoco d’artificio colorato che si dispiega appena al di sotto, su tre metri di larghezza e un metro e cinquanta di altezza?»(1). Opportuno invece sarebbe «restituire dignità storica, ovvero sottigliezza intellettuale ed estetica, a oggetti visivi considerati sino a qual momento inesistenti, o perlomeno privi di significati» (2). Con atteggiamento simile, Samorì si sofferma su dettagli, marginali e non, di varie opere artistiche italiane, ma anche giapponesi o russe per poi accostarli ad altri “prelievi visivi”, come paesaggi incontrati nei suoi molti viaggi, o a particolari di altre opere d’arte, siano esse quadri, mosaici o ceramiche. In questo modo ridà valore a frammenti in apparenza “minori”, per poi creare, tramite strumenti informatici, accostamenti che aprono le sue immagini a nuove e inaspettate narrazioni. Narrazioni che le inoltrano in un territorio dove egli fa nascere inedite corrispondenze e relazioni, fino a generare un universo visivo incantato eppure rigoroso e preciso. Ogni sua immagine, seppur giocata su accostamenti visivi ripresi in luoghi e tempi diversi, è creata e costruita con una grande attenzione compositiva, spesso usando la regola della sezione aurea, quella divina proportione teorizzata dal matematico Luca Pacioli (Borgo San Sepolcro 1445 – Venezia 1514 o 1517) che venne immediatamente apprezzata e usata nelle opere dei principali artisti del Rinascimento.
In varie sue serie fotografiche – tra cui Dal Medioevo (2016-2021) – castelli e storiche dimore, svettanti solitarie e sospese su luminosi paesaggi geometrici, paiono figure immerse in un tempo immobile e cristallino, in un universo più vicino al mito e alla poesia che non alla realtà. Nella serie Drappi Rossi (2017-2020) l’autore pone invece in evidenza alcuni lembi rossi, simili a nuvole purpuree, che ricorrono semicelati nella ricchezza dei dettagli di molte icone russe e opere antiche. Manti fiabeschi, accostati ad alberelli altrettanto magici, a facciate di case che sembrano uscite da un libro di leggende. È come se ogni sua immagine ci chiedesse di ascoltarla perché sottovoce sta sussurrando un invito: “Aspetta, libera la tua immaginazione, ti voglio raccontare che in un tempo lontano un manto poteva avvolgere una città, un albero crescere nel deserto, un castello apparire sospeso nel nulla…”. Samorì crea quindi opere che si offrono come nuove letture dentro il passato dell’arte: ciò risulta evidente anche osservando una delle sue ultime opere, dove la Maddalena di Masaccio, inginocchiata, alza le braccia verso la scultura di un Cristo Crocifisso che, a sua volta, pare allungare le sue verso di lei creando un potente dialogo carico di pietas. Si tratta di letture e nuove interpretazioni visive, che ci invitano a sentire e a vivere la Storia dell’Arte quale dono prezioso da custodire con cura perché, come un cesto ricco di ogni cosa, basta cercare dentro di lei, guardarla da un altro punto di vista, per scoprire un nuovo universo e aprirsi così a infinite possibilità percettive ed emozionali. Grazie agli sfondi rigorosamente neri di molte sue opere, egli sottrae inoltre le sue immagini a ogni collocazione temporale senza, però, volerle portare fuori dalla Storia.
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… quelle di Samorì sono “immagini-finzione” senza essere vere finzioni: non ha infatti creato nulla ex novo con l’intelligenza artificiale o il photoshop. Quello che egli ci mostra è davvero così: la Maddalena della Crocefissione di Masaccio, ad esempio, è stata fotografata così come lui l’ha vista e là dove si trova, ovvero nel Museo di Capodimonte. Tolta dal contesto pittorico in cui era collocata, e accostata a un’altra opera – ovvero a un Cristo Crocefisso a cui egli ha tolto la croce – ecco che, questo nuovo dialogo creato dal lavoro di Samorì, crea non una “finzione” ma una differenza. Una differenza che ci permette di vedere tali opere in una nuova luce. Le sue fotografie sono infatti simile a soglie che ci guidano verso un altrove: seguendo tale cammino possiamo allora intraprendere un nuovo viaggio, al contempo dentro l’arte e dentro il visibile.
Gigliola Foschi
Critica internazionale di arte e giornalista
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(1,2) Georges Didi-Huberman, Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 14-15